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sabato 8 giugno 2013

CONSIGLIO DI LETTURA: A. FUGNOLI - LA RITIRATA DEI BOND E' QUALCOSA DI PIU' DI UNA ESERCITAZIONE


Appuntamento settimanale con la rubrica il Rosso e il Nero di Alessandro Fugnoli.




La cosa da evidenziare, leggendo l'articolo di Fugnoli, è che praticamente tutto il dibattito e soprattutto le preoccupazioni di analisti, giornalisti economico-finanziari, opinionisti, etc etc ruotano, da anni ormai, sempre e comunque esclusivamente su una cosa: se e quanto continuerà a essere espansiva ed aggressiva(in termini di stimoli, e quindi di droga-stampaggio moneta per continuare a manipolare artificialmente i prezzi) la politica monetaria delle banche centrali.

E' solo quello l'unico problema importante, e lo si nota puntualmente sui mercati ogni qualvolta si paventa anche solo minimamente la possibilità che qualcosa cambi (nota bene: finora l'unica cosa che è cambiata di volta in volta è che le banche centrali sono diventate sempre più aggressive tanto da avere un Qe illimitato e continuativo a livello planetario), con un immediato aumento della volatilità e sciacquoni molto veloci e impulsivi, che rientrano subito appena arrivano le dovute smentite.

Non gliene frega più niente a nessuno di guardare davvero quali siano gli effetti sistemici e strutturali di tali politiche sull'economia reale, tanto sono valutazioni che non contano nulla sui mercati. E questo giustamente lo hanno capito tutti da tempo, e che il cittadino comune si fotta!!!.

Dove è che si possono fare soldi facili e in tempi rapidissimi??? Sui mercati naturalmente!!! 

Lo ha indicato, fra le righe, anche Fugnoli in questo articolo quanto aberrante e con esiti privi di ogni logica sia questa folle politica monetaria.
Leggete questa frase: "  Lo stato di euforia aveva portato a un rialzo azionario che sembrava senza fine e a una compressione globale dei premi per il rischio di credito e di tasso. Tutto andava a ruba, dai prestiti sovrani cinquantennali, ai corporate a 100 anni 
fino ai bond pakistani o rwandesi. 
Il Nikkei saliva a parabola e gli strategist si affrettavano a rivedere al rialzo (e non di poco) gli obiettivi di borsa per il 
2013 e il 2014."
Ecco, in un mondo in cui anche i bond pakistani e rwandesi vengono presi d'assalto dai compratori, in cerca spasmodica di carta su cui speculare, non credo abbia molto senso dire di più per riuscire a capire davvero come stanno le cose!!!!

Una considerazione finale: dal punto di vista tecnico, come abbiamo avuto modo di vedere anche questa settimana chiaramente - vista la reazione fulminea che ha generato -, fino a quando area 1590-1600(di cui vi ho parlato più volte) regge il rialzo di sp500, ci sono sempre alte probabilità di continuare ad andare su, verso vette inesplorate.
Con una discesa sotto questi livelli, invece, vi consiglio di prestare molta attenzione, perchè a mio modo di vedere sarebbe il primo alert(sia chiaro: il primo) di pericolo concreto sul mercato.
A differenza di quel che pensa Fugnoli, che vede in caso di discese sotto questi livelli semplici correzioni per eliminare gli eccessi, io credo che si aprirebbero le porte per movimenti molto piu articolati, impulsivi e caratterizzati da fortissima volatilità, con possibili discese degne di nota.

Ricordatevi sempre che abbiamo davanti una castello di "carta" (manipolato artificialmente) costruito su una spiaggia di sabbia, in attesa che arrivi una tempesta.

Buona lettura.








Quello delle ultime settimane è
stato, per i mercati obbligazionari, il terzo ribasso più duro degli ultimi 
vent’anni. 
Il peggiore, durato undici mesi, è stato quello del 1994, seguito da quello del 2003, quando la Fed abbandonò la politica espansiva seguita alla minirecessione del 2001 e 
all’11 settembre.
Sulle cause del ribasso è in corso un dibattito vivace e interessante. 

Anatole Kaletsky sostiene che la paura nei mercati non ha nessun senso. La Fed non ha affatto cambiato politica e ha ribadito che il Quantitative easing continuerà in 
forma flessibile. Sarà cioè ridotto (gradualmente e molto lentamente) se i dati macro, e in particolare quelli 
sulla disoccupazione, miglioreranno. 

Sarà invece rafforzato se la crescita
perderà slancio. Cose di puro buon senso e per di più già annunciate da 
tempo.

Quanto alle dichiarazioni di Esther George che tanto hanno allarmato i mercati (il Qe ha i mesi contati), Kaletsky nota ruvidamente che la Fed di Kansas City diretta dalla George conta nel Fomc come la banca centrale di Cipro all’interno del consiglio della Bce e cioè niente. 

Chi conta sono solo i primi tre, ovvero Bernanke, la sua vice Yellen e Dudley della Fed di New York, nell’ordine colomba in capo, supercolomba e ipercolomba.

Kaletsky conclude quindi il suo
ragionamento con la previsione di un ritorno dei bond sui massimi di 
due mesi fa.
Kaletsky è ingeneroso e impreciso quando minimizza il peso 
delle Fed delle regioni centrali degli Stati Uniti. Kansas City è un centro finanziario ovviamente più piccolo di New York, ma rappresenta, insieme a Dallas, Saint Louis e Filadelfia, la posizione repubblicana. Intendiamoci, le Fed regionali non prendono ordini dai partiti e i partiti non si ispirano, 
nella loro linea di politica economica, alle Fed loro vicine, ma c’è un comune sentire più che 
evidente. 
Kaletsky ha comunque ragione nel fare notare che i rapporti 
di forza, che non sono cambiati negli ultimi tempi, continuano a essere sbilanciati, nel Fomc, a favore delle colombe. Aggiungiamo che, come contrappeso ulteriore ai falchi, c’è una ubercolomba come Evans di Chicago 
che ipotizza la fine del Qe solo dopo molti mesi di seguito con più di 300mila nuovi posti di lavoro. 

Una condizione quasi impossibile e un Qe praticamente 
eterno.

Se Kaletsky rappresenta l’ottimismo che prevaleva nei mercati prima della caduta (economia in accelerazione ma Fed comunque espansiva, il migliore dei mondi possibili), Mohamed El-Erian di Pimco legge la salita dei 
rendimenti come minore propensione generale al rischio dopo le esagerazioni degli ultimi mesi e propone una riduzione dell’esposizione verso l’azionario e i 
corporate bond. 

Dov’è, si chiede, tutta questa crescita in accelerazione di cui si parla? Gli ultimissimi dati macro, in effetti, sembrerebbero dargli ragione.

Ancora più pessimista, Charles Gave parla di uno sforzo reflazionistico da
parte delle banche centrali avviato a un clamoroso fallimento e di Treasuries destinati a tornare sui massimi per la peggiore delle ragioni possibili, la 
deflazione incombente. La continua discesa dell’inflazione, accompagnata dal rialzo dei rendimenti obbligazionari, sta portando i tassi nominali al di sopra del tasso di crescita strutturale delle economie, una configurazione che 
prelude a uno shock deflazionistico.

A favore della tesi di Gave di una perdita di controllo da parte delle
banche centrali si potrebbe citare l’effetto decrescente delle misure espansive. 

La base monetaria in continuo aumento non produce accelerazione della
crescita in America, mentre l’espansione del credito dà risultati sempre più 
modesti in Cina e negli altri paesi emergenti. 

Le esitazioni del governo e della banca centrale in Giappone, dal canto loro, stanno già mettendo a rischio 
alcuni degli effetti positivi che ci si attendeva dall’Abenomics.

Per provare a mettere ordine nelle idee bisogna tornare alla visione del
mondo prevalente nei mercati prima della correzione. 
L’ottimismo straripante di allora, visto oggi, aveva alcune buone ragioni di fondo, ma presentava anche chiari segni di intossicazione mentale. 
Lo stato di euforia aveva portato a un rialzo azionario che sembrava senza fine e a una compressione globale dei premi per il rischio di credito e di tasso. Tutto andava a ruba, dai prestiti sovrani cinquantennali, ai corporate a 100 anni 
fino ai bond pakistani o rwandesi. 
Il Nikkei saliva a parabola e gli strategist si affrettavano a rivedere al rialzo (e non di poco) gli obiettivi di borsa per il 
2013 e il 2014.

Era per l’ennesima volta la
maledizione di maggio, che per il quarto anno di seguito faceva registrare un importante massimo di periodo nel sentiment e nei mercati. 

Niente di particolarmente esoterico in questo, quanto la semplice conseguenza del fatto che le grandi manovre di rilancio monetario del decennio in corso (dai vari Qe al celebre discorso di Draghi) sono tutte partite tra la fine di luglio e agosto. Un timing, questo delle banche centrali, dettato dalla caduta di sentiment nei mercati durante l’estate, dovuta a sua volta agli eccessi di attese creati dalle misure espansive dell’anno precedente. 

Succede insomma, ogni maggio, che gli otto-nove mesi di rialzo che festeggiano gli annunci dell’agosto precedente creano a un certo punto portafogli troppo carichi, che 
da parte loro inducono gli operatori a guardare con particolare preoccupazione a qualsiasi segno di fragilità. 

A questo punto dati che prima sarebbero stati tranquillamente ignorati diventano improvvisamente 
allarmanti e spingono a una correzione dei corsi che viene letta, con una logica circolare, come conferma delle preoccupazioni.

La novità di quest’anno, se vogliamo, è che alla tradizionale distribuzione
agostana di adrenalina se ne è aggiunta una primaverile sotto forma di Abenomics in Giappone e di congelamento dell’austerità fiscale in Europa. 

intossicare completamente le menti è poi intervenuto un miglioramento (sopravvalutato) del quadro dell’occupazione negli Stati Uniti.

Ragionando con un minimo di distacco si può notare come l’errore non sia stato quello di vedere l’accelerazione americana e la fine della recessione europea all’orizzonte del 2014, ma di considerarle già iniziate. 

In America, infatti, gli effetti di freno degli aumenti di tasse cominceranno a venire meno solo all’inizio dell’anno prossimo. Quanto all’Europa, il segno negativo 
ancora per tutto quest’anno è ineliminabile e solo per il 2014 ci potrà essere un timido più.

L’ottimismo senza limiti di un mese fa era dunque sbagliato, ma
altrettanto fuori luogo, per il momento, appare il pessimismo di questi giorni. La fisiologia dei 
mercati, tuttavia, fa pensare che la fase di correzione delle borse continuerà fino all’autunno, con un andamento nel complesso laterale (ma con qualche puntata sotto 1600 per 
l’SP 500). 

A fine anno, con i mercati ripuliti e l’avvicinarsi dell’accelerazione vera dell’economia americana, vedremo con ogni probabilità nuovi massimi di borsa.

In questa fase di recuperata
sobrietà mentale i bond ritroveranno una parte dello smalto perduto. Sarà 
un’occasione, per chi non l’ha già fatto, per vendere le scadenze superiori ai cinque anni. L’addio ai bond sarà lungo e lento. Il ribasso di queste settimane, visto dalla Fed, non è l’inizio di un dramma ma un passo 
verso la normalità e una grande esercitazione generale in vista del bear market vero che verrà nella seconda parte del decennio.

In borsa è il momento del trading. D’estate infatti la volatilità sale. Chi si è caricato troppo di azioni durante il rialzo potrà vendere call per i prossimi due-tre mesi. Chi non ha creduto al bull market avrà una seconda possibilità 
per entrare e gli converrà non lasciarsela scappare.

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