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venerdì 21 giugno 2013

CONSIGLIO DI LETTURA: A. FUGNOLI - GRANELLI DI SABBIA NEL MOTORE, PER ADESSO NIENTE PIU'


Nuovo appuntamento settimanale con la rubrica il Rosso e il Nero di Alessandro Fugnoli, che torna quindi nel nostro consiglio di lettura.


Sapete già come la penso - ogni volta ho fatto una premessa agli articoli di Fugnoli per spiegarlo - e quindi non mi ripeterò.
Continuo solo a notare  una forte contraddizione tra una palese verità (che il Qe non sia altro che una "droga"  utilizzata per  manipolare artificialmente i prezzi gli assets di carta, tutti senza distinzione di alcun tipo, sebbene magari a rotazione)ed una evidente bugia, ossia che stia per arrivare una decisa accelerazione dell'economia ("attesa per l'anno prossimo" dice Fugnoli, peccato dimentichi che due anni fa era attesa alla fine di quest'anno, e già ora qualcuno parli di 2015-2016)

Sul fatto che Obama poi "lavori per rimanere nei libri di storia" non ci sono dubbi: peccato che lo rimarrà come il più grande solone visto negli ultimi 20 anni in america( in fondo da Bush sapevi pure già prima cosa aspettarti!!!!), solamente che sarà il primo ad essere "un pò abbronzato"!!!!






Parliamo del
tapering, perché non si parla d’altro e perché
da qualche tempo sembra che l’universo ruoti intorno a questa questione. Per chi avesse vissuto nelle ultime settimane senza corrente elettrica e senza Internet, come
gli abitanti di Chicago nella serie televisiva Revolution (non
ancora arrivata in Italia), il tapering è la riduzione degli acquisti mensili di titoli da parte della Fed, lo zucchero-adrenalina-eroina (i giudizi divergono) che viene immesso
dal 2009, in dosi sempre più massicce, nelle vene del sistema finanziario americano e che da qui si riversa nel mondo intero.

Bernanke ci tiene a distinguere il tapering da un aumento dei tassi. Il primo è come il sollevare delicatamente (e solo in parte) il piede dall’acceleratore di una macchina che ha ormai preso velocità, il secondo equivale invece a un colpo di freno. 


Con questa immagine Bernanke cerca di trasmettere l’idea di una Fed che sta ancora sostenendo molto attivamente la
crescita e che vede come lontana, molto lontana, la sola ipotesi di un rialzo dei Fed Funds.

Si noti che, mentre i mercati stanno posizionandosi in vista di un ciclo di rialzo dei tassi lungo, duro e imminente, la dottrina ufficiale della Fed non considera scontato nemmeno il tapering e ipotizza addirittura, in caso di
bisogno, un aumento della dose di stimolanti. Il tapering, come Bernanke ha ripetuto fino alla nausea, ci sarà solo se tutto andrà meravigliosamente bene e inizierà solo alla fine di quest’anno.

I mercati non sembrano nemmeno avere prestato attenzione al fatto che lunedì Obama ha molto ruvidamente licenziato Bernanke, il cui mandato in scadenza nelle prime settimane del 2014, ha detto il presidente, non verrà rinnovato. I tempi e i modi irrituali
dell’allontanamento non possono non fare pensare
a una Casa Bianca che vuole fare sapere fin da ora che ci sarà una persona di assoluta fiducia a gestire l’accelerazione attesa l’anno prossimo nell’economia con una politica monetaria ancora ultraespansiva. 

Chi prenderà il posto di Bernanke (la Yellen o Summers) sarà certamente più colomba di lui e dovrà garantire a Obama di fare coincidere la fine della sua presidenza con una ripresa forte dell’occupazione. Obama lavora ormai per i libri di storia (ha un ufficio apposta dedicato alla legacy).

Se Obama vuole la gloria duratura, i repubblicani cercano ovviamente di negargliela. Rick Santelli (Cnbc con simpatie Tea Party) fa una tirata violentissima (è su YouTube e merita) contro Bernanke, chiedendo di che cosa abbia ancora paura e che cosa lo trattenga dal dichiarare terminata l’esperienza del Qe e guarita un’economia che fra poco scoppierà di salute.

Sulla stessa lunghezza d’onda, anche se con toni più calmi, i grandi vecchi Greenspan e Feldstein.

È però interessante notare che i repubblicani nel Fomc, che pure cercano di boicottare il Qe, non sono tutti d’accordo con la linea della normalizzazione accelerata. James Bullard, capo della Fed di St. Louis di lunga tradizione monetarista, chiede addirittura più Qe, perché l’inflazione
sta scendendo troppo.


Questi sono gli strani tempi in cui ci troviamo a vivere. I democratici moderati e i repubblicani moderati sono in fondo d’accordo sul tapering e discutono solo su quanto velocemente smantellare il Qe. La sinistra e i
monetaristi chiedono invece più Qe, la prima perché ci sono ancora troppi disoccupati e i secondi perché c’è troppo poca inflazione.

Il povero Bernanke deve guardare con un occhio all’inflazione troppo bassa, con un altro a un’economia ancora tiepida ma con prospettive di accelerazione e con un terzo a mercati finanziari già surriscaldati da quattro
anni di rialzi obbligazionari e azionari. Deve cominciare a girare il transatlantico della politica monetaria senza però provocare un bear market rovinoso dei bond che sarebbe paradossale con l’inflazione ai minimi degli
ultimi 50 anni. 

Deve mettere d’accordo i signori del Fomc, tutti molto
educati ma anche in contrasto tra di loro. E da lunedì deve cominciare a trovarsi un nuovo lavoro.

Sceglie quindi, Bernanke, di gettare un sassolino (sotto
forma di tapering) nella sala macchine del transatlantico
della politica monetaria.

L’obiettivo non è quello di avviare il crollo dell’obbligazionario globale ma quello molto più modesto
di bloccare e fare un poco scendere la schiuma che
stava facendo lievitare sempre più in fretta i bond di
ogni ordine e grado. Per poi fermarsi fino a fine anno e
stare a vedere. Niente di più, per adesso.

Con la sua reazione malmostosa e spaventata, il mercato dimostra di preferire il paradiso artificiale del Qe alla bella realtà che si profila per l’anno prossimo. È una
tipica reazione da tossicodipendente. Agli occhi del medico, è la conferma della necessità di avviarlo il prima possibile su un percorso di disintossicazione.

La reazione del mercato è confusa e scomposta anche per il posizionamento dei portafogli venutosi a creare nei mesi scorsi, in particolare nell’obbligazionario. La ricerca disperata e umiliante di rendimenti anche miserabili ha spinto all’accaparramento di bond di tutti i tipi con una
particolare attenzione, negli ultimi tempi, verso gli emergenti.


Purtroppo si dà il caso che alcuni degli emergenti si stiano facendo cogliere in una fase opaca proprio nel momento di mercato peggiore. La Russia cresce sempre più piano, anche grazie alle rinazionalizzazioni striscianti di Putin. Il Venezuela è nel caos abituale ma senza il carisma di
Chavez. La Turchia attraversa un momento delicato, anche se i suoi problemi sono probabilmente sopravvalutati dagli osservatori esterni. In Brasile la gestione pasticciona della Rousseff aggrava il rallentamento della crescita senza bilanciarlo con la capacità di creare consenso che aveva Lula.

Sullo sfondo, naturalmente, c’è la grande incognita di una Cina a metà del guado nel suo processo di ridefinizione dei fattori di crescita.

I bond (e le borse) emergenti soffrono dunque più di tutti e sarà bene attendere ancora qualche settimana prima di approfittare delle opporunità già adesso visibili. Il resto del mercato obbligazionario comincia per fortuna a
essere selettivo. Un Bill Gross contrarian è addirittura compratore di Treasuries decennali per giocare un rimbalzo tra estate e autunno.

Anche la periferia europea, nel complesso, tiene discretamente. La fine della caduta delle economie mediterranee è più vicina. La normalizzazione
porterà nei prossimi mesi a qualche flusso di portafoglio sull’euro. Questo non significa che ci si debba precipitare a vendere dollari. L’America ha prospettive di medio-lungo
termine molto migliori.

Sul Giappone abbiamo visto prima la riscoperta folgorante della sua esistenza da parte di un mondo che l’aveva dimenticato e poi la delusione cocente per qualche esitazione nell’implementazione dell’Abenomics. Ora si
profila una fase più equilibrata in cui, senza gli eccessi dei mesi scorsi, lo yen tornerà a indebolirsi e il Nikkei riprenderà colore. Il fatto che i dati macro giapponesi siano tornati a essere più significativi di quelli cinesi
completa la grande restaurazione dell’ordine mondiale precedente la globalizzazione. 

Gli emergenti tornano periferia del mondo. In parte è solo un effetto ottico, dovuto al fatto che i nostri soldi ritornano a casa e alimentano la performance relativamente migliore dei nostri mercati obbligazionari e
azionari.

 In parte è però innegabile che il modello di crescita di molti emergenti vada ripensato.I problemi strutturali dei paesi sviluppati ci sono ancora tutti, ma è indubbio che il dopocrisi stia avviandosi alla conclusione. 

Dal 2009 a oggi abbiamo avuto costantemente il timore, per non dire il terrore, di ricadere nella malattia. Da qui in avanti avremo i problemi di chi è sano.
Chi è malato viene accudito, coccolato, viziato e perfino drogato di anestetici e stimolanti. Da chi è sano ci si aspetta che lavori e che dia agli altri. Essere sane, per le economie, implica convivere con il rischio costante di
un aumento dei tassi, soprattutto se si parte da livelli anormalmente bassi. Èla vita.

Messi di fronte alla scelta tra salute e malattia quasi tutti sceglierebbero la prima. I mercati azionari, dopo qualche mese laterale passato a disintossicarsi, scopriranno nei prossimi due anni che essere sani è meglio che
vivere impasticcati.

Quanto ai bond, bisogna evitare due cose. La prima è la ritirata precipitosa nel cash in un momento, questo, non particolarmente favorevole.

La seconda è l’inazione e la rassegnazione a lasciarsi rosicchiare da un ribasso lento ma alla lunga insidioso. A regime sarà bene avere, entro qualche mese,
solo titoli con una durata inferiore ai cinque anni. Quello che va oltre andrà venduto sui rimbalzi, che non mancheranno.

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