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domenica 19 maggio 2013

CONSIGLIO DI LETTURA: IL GIAPPONE STRAVOLGE I DOGMI SUL DEBITO PUBBLICO E L’INDIPENDENZA DELLA BANCA CENTRALE...CON GRAFICI DEL NIKKEY E DI USD/YEN DEGLI ULTIMI 6 MESI


In  questa domenica calda (30 gradi alle 14) e afosa qui nel Salento, ho trovato questo bellissimo articolo pubblicato a fine gennaio dal blog Tempesta Perfetta, che spesso offre spunti di riflessione davvero interessanti, sulla scelta del Giappone a fine di 2012 di annunciare un nuovo enorme "pacchetto" di stimoli all'economia ( che originalità, vero???....una novità assoluta!!! ), consistenti, tanto per cambiare, nell'inondare di liquidità i mercati.


I risultati di questa azione sono ben noti, con ottimi ritorni in appena 6 mesi per chi ha puntato sul mercato del Sol Levante, anche se i vantaggi più grandi sono stati per i giapponesi stessi  (dato che per gli investitori esteri bisogna mettere in conto il contestuale netto deprezzamento della valuta, di quasi il 30% nello stesso periodo di tempo).

Ennesima dimostrazione, semmai ce ne fosse bisogno, delle scorribande che stanno combinando in giro per il mondo le banche centrali, le lobby bancarie, e i politici burattini da loro controllati, in questo gioco continuo fatto di guerre valutarie e manipolazione artificiale di tutti gli assetts a loro piacimento.

NIKKEY WEEKLY DAL 1989

NIKKEY WEEKLY DAL 2008

USD / YEN


Vedremo .....vedremo....sono proprio curioso di vedere dove ci porterà il grande esperimento delle banche centrali a livello globale!!!

PS: attenzione ai livelli ben evidenti sui grafici ora!!!!

Buona lettura.






"Aveva cominciato l’Argentina a cambiare lo statuto dellaBanca Centrale per subordinare l’autorità di politica monetaria al governo e al parlamento democratico. Ma l’Argentina è un paese ancora troppo fragile, devastato da anni di neoliberismo e corruzione selvaggia, soggetta all’ostruzionismo della comunità finanziaria internazionale, con una moneta non completamente convertibile sui mercati valutari e sotto il monitoraggio stretto del FMI sui dati dell’inflazione e della crescita economica. L’Argentina non è un caso di studio affidabile, insomma, secondo i professionisti della menzogna e della mistificazione. Il Canada, invece, che da sempre ha una Banca Centrale pubblica al servizio del governo non fa testo perché non abbiamo controprove su cosa sarebbe successo in caso di “autonomia e indipendenza” e il Canada è un paese ricco di “materie prime”. Ora però ci si mette pure il Giappone a stravolgere i dogmi medievali degli stregoni del debito pubblico, dell’inflazione e dell’autonomia e indipendenza della banca centrale. E il Giappone è un paese sviluppato, grande esportatore, privo di materie prime, con una moneta forte e ampiamente accettata sui mercati valutari. Quindi? Cosa diranno adesso gli squinternati sostenitori del fallimentare progetto europeista che si basa proprio su quei folli dogmi? 


Chissà, mentre noi ci arrotoliamo all’interno di una delirante campagna elettorale piena di vuoti propositi senza senso e lontana anni luce dai problemi reali e dalle grandi questioni di civiltà, in altri paesi del mondo sta cominciando una “rivoluzione copernicana” che potrebbe cambiare per sempre i rapporti di forza fra i governi democratici e la politica monetaria, la finanza, lo strapotere bancario. Riporto di seguito un monumentale articolo del blog Orizzonte48, in cui l’autore, Luciano Barra Caracciolo, fa una mirabile e straordinaria sintesi di tutte le maggiori teorie macroeconomiche (classica, keynesiana, neo-classica, monetarista etc), alla luce di ciò che sta avvenendo oggi in Giappone. Consiglio davvero a tutti gli appassionati di questi argomenti (prima o dopo, lo dovremo diventare un pò tutti per venire fuori dal torpore e dalla barbarie culturale che ci sta stritolando) di leggere e di riflettere sui numerosi spunti forniti dall’articolo e soprattutto, visto il silenzio assoluto dei canalimainstream, di cominciare a guardare in piena “autonomia e indipendenza” (d’informazione però…) ad est, perché è proprio da lì che sorge il Sol Levante...di una nuova era, speriamo!



ASO E ABE...LA POLITICA FISCALE "CREATIVA" TRA KEYNES, PATINKIN E FRIEDMAN




1- Giappone e "congiuntura deflattiva". Si parla in giro del Giappone.


L'analisi sulle "manovre" monetarie del nuovo governo del Sol Levante, può rendere interessante capire come le contraddizioni teoriche che guidano con mano invariabilmente "malferma" (negli effetti) la "fermezza" (nelle "aspettative razionali") delle politiche dei vari governi, abbiano origine nella inattendibilità delle teorie prevalenti, su cui gli economisti "di governo" si sono formati. E ci consente anche, come vedremo, un'incursione "dietro le linee nemiche" per capire com'è che gli vengono fuori le..."pensate".




In una ridda di ipotesi ibridate dalle varie teorie (neoclassica, monetarista e post-neo-keynesiane, queste ultime solo pallidamente unificabili), i "potentati" economici "nazionali", rimasti sul campo, dopo la "selezione" provocata dalla difficile convivenza con la "super-potenza" della finanza globale, entrano in conflitto tra loro. E tutti quanti indugiano sulla soglia di qualche nuovo shock finanziario, non avendo praticamente fatto nulla per definire un quadro istituzionale "cooperativo", nelle opportune sedi internazionali, che possa impedirne il ripetersi. Al di là di questo angosciante e irritante profilo, prendiamo le mosse da ciò che, sul finire del 2012, ci proviene come notizia "innovatrice" dal Giappone.




Il Financial Times del 27 dicembre scorso se ne esce con un articoletto "bomba" (certamente se riferito a quello che sono capaci di concepire nella governance UEM), firmato Michiro Nakamoto, e intitolato (tradurrò il tutto direttamente in italiano) "Aso preannunzia un nuovo "pacchetto" di stimoli": "Il nuovo ministro delle finanze (appunto Aso ndr.), ha segnalato che il governo contrarrà nuovo debito per sospingere l'economia fuori dalla stagnazione, mentre il primo ministro Shinzo Abe ha dato notizia di un cabinetto riunitosi per "battere la crisi". A una conferenza stampa susseguente alla sua nomina, Taro Aso ha annunciato che emetterà nuovi bond e alzerà il limite all'indebitamento per l'anno 2012.




"Non ci atterremo al "debt-cap" di 513 miliardi di dollari" (44 trilioni di Yen) [per l'anno 2012 fino a marzo]. Mr Aso ha detto che la limitazione era stata introdotta dal precedente governo democratico, sconfitto da una valanga di voti a favore del partito liberale di Abe. Lo Yen è sceso al minimo degli ultimi 2 anni ieri (26 dicembre 2012 ndr.), anticipando i passi "inflazionistici" del governo Abe e il potenziale "monetary easing" della Banca del Giappone. Aso, già da primo ministro, nel 2008-2009, lanciò un enorme pacchetto di stimoli per combattere la crisi finanziaria prima di perdere il potere.




Il primo ministro Abe ha rivelato di una riunione con gli alleati più stretti e esperti di politica economica per realizzare la sua agenda di risanamento economico, poche ore dopo essere stato nominato come settimo primo ministro del paese in sei anni. Ha preso l'impegno di dar vita a un governo anti-crisi, per affrontare ladeflazione che ha ostacolato il Giappone per oltre un decennio ed anche il problema dello Yen forte.




"Dirigerò le energie del mio intero governo verso l'attuazione di una coraggiosa politica monetaria e una strategia di crescita, e una politica fiscale flessibile che incoraggi gli investimenti privati" Ha detto Mr. Abe. Si è impegnato a reflazionare l'economia attraverso lo stimolo fiscale e l'espansione monetaria. Ha anche fatto appello alla Banca centrale affinchè intraprenda una espansione "illimitata" e ha minacciato l'indipendenza della Banca centrale - attraverso l'introduzione di cambiamenti legislativi - se essa non perseguirà un obiettivo inflazionistico del 2%.




Ma il ministro delle finanze (Aso), si oppone al tipo di forte stimolo alla spesa che Abe ritiene necessario per spingere la crescita del PIL, che recentemente è entrato nel suo quinto anno di recessione nell'arco degli ultimi 15, a meno che la spesa aggiuntiva non abbia copertura in una crescita dell'imposizione fiscale. E' preoccupato della situazione fiscale del Giappone, avendo il FMI avvertito che il debito raggiungerà il 236% del PIL entro marzo..."




2- Aso alla riscossa, oltre la teoria classica.


Allora: Aso comprende che la "trappola" della deflazione si risolve anche e specialmente ricorrendo alla spesa pubblica e rinunciando alla riduzione del deficit di bilancio. Questo primo "indirizzo" contrasta con la teoria classica in senso "storico", cioè pre-keynesiana (i virgolettati che seguono sono tratti da questo paper):




"Una importante conseguenza del modello classico di piena occupazione è quindi l’assenza di disoccupazione involontaria anche se può esistere disoccupazione frizionale e/o volontaria. L’esistenza di disoccupazione si spiega, all’interno di questa corrente di pensiero, solo ipotizzando l’esistenza di attriti o interferenze nei meccanismi spontanei di riequilibrio. A queste condizioni l’intervento pubblico per stabilizzare l’economia non è né necessario né desiderabile. Nella teoria della finanza pubblica era infatti dominante l’idea della “finanza ortodossa” per cui, nei periodi di allontanamento temporaneo dal pieno impiego, sarebbe stato preferibile mantenere il pareggio dei bilanci pubblici astenendosi dall’interferire sui meccanismi spontanei di riequilibrio."




Naturalmente intraprendere una linea come quella attuale di Aso, a ben vedere, non significa abbracciare una filosofia keynesiana. Precisa infatti Aso che la deflazione verrà contrastata con una politica monetaria fortemente espansiva. Il che contraddice un postulato keynesiano sulla scarsa efficacia di politiche monetarie come trainanti lo stimolo:




"Nella interpretazione keynesiana del modello IS-LM, sia la politica fiscale sia la politica monetaria sono in grado di produrre effetti sull’economia reale. Ma...i keynesiani in ordine alle pendenze delle curve IS e LM...ritengono che la LM sia generalmente molto elastica e la IS sostanzialmente rigida. Di conseguenza, politiche fiscali espansive risulterebbero molto efficaci, poiché l’effetto di spiazzamento sarebbe limitato a causa dell’effetto non rilevante di crescita del tasso di interesse. Sarebbe invece ridotta la capacità stabilizzatrice della politica monetaria, poiché una riduzione del tasso di interesse indotta dall’aumento dell’offerta nominale di moneta (spostamento verso il basso della curva LM) non produrrebbe rilevanti effetti di aumento degli investimenti.




Per i keynesiani, inoltre, esiste un certo livello minimo del tasso di interesse nei confronti del quale la politica monetaria diviene chiaramente inefficace. Si tratta della c.d. trappola della liquidità; quando il tasso di interesse si posiziona ad un dato livello minimo, gli operatori si aspetteranno un suo aumento, e non reagiranno per evitare di incorrere in perdite in conto capitale, qualsiasi sia l’offerta di moneta. In questo caso, nessuno intende acquistare titoli che fruttano un tasso di interesse troppo basso e la preferenza per la liquidità sarà assoluta."




3- Aso neo-classico?


Ma il mix, ibridato (e già foriero di contrasti tra Abe e Aso), si può ritrarre, in buona parte, da altre dottrine economiche, in specie quella neo-classica di Patinkin. In particolare, la sintesi neoclassica individua tre casi principali a cui si può ricondurre la validità della tesi keynesiana:


a) se gli investimenti sono poco sensibili al tasso di interesse, cioè nel caso di IS particolarmente rigida;


b) se esiste una trappola della liquidità, nel senso sopra osservato;


c) se i salari monetari sono rigidi verso il basso, cioè se il processo classico di aggiustamento, in presenza di disoccupazione, fosse bloccato nella sua fase iniziale.




...Per la sintesi neoclassica sono questi gli unici elementi in grado di interrompere i nessi causali di aggiustamento sostenuti dalla teoria classica e quindi in grado di spiegare l’esistenza di un equilibrio non di piena occupazione. Sulla base di queste analisi, si sviluppa, in questo periodo e nell’ambito dello schema IS-LM, la contrapposizione tra attivisti e non attivisti della politica fiscale e della politica monetaria in ordine alla capacità del mercato di dirigersi spontaneamente verso l’equilibrio di piena occupazione. Poiché per la sintesi neoclassica la validità della tesi keynesiana (attivisti della politica fiscale) è da ricondursi ai tre casi speciali sopra evidenziati, c’è da attendersi che i non attivisti abbiano, sulle inclinazioni delle curve IS e LM, opinioni diverse.




Essi, infatti, ritengono che la IS sia alquanto piatta e la LM piuttosto rigida; il primo caso segnala un elevato valore della elasticità degli investimenti al tasso di interesse; il secondo, invece, riflette la scarsa elasticità della domanda di moneta al tasso di interesse. In tale contesto la politica monetaria risulta più efficace di quella fiscale, dal momento che l’elevata elasticità della IS rispetto a i, combinata con una LM rigida, amplificherebbe l’effetto di spiazzamento e ridurrebbe l’effetto globale di una manovra di bilancio espansiva; mentre la ridotta elasticità della LM rispetto a i, combinata con la elasticità della IS, è in grado di amplificare l’effetto su Y di una variazione dell’offerta di moneta (il che spiega perchè si tenda correntemente a trascurare il moltiplicatore fiscale e ad avere fiducia illimitata nella...BCE, ndr.).




Il culmine della sintesi neoclassica, ma per certi versi anche il suo superamento, si raggiunge dopo la pubblicazione, nel 1956, di un fondamentale contributo di D. Patinkin e l’elaborazione teorica del concetto di “effetto saldi reali”(real balance effect). L’effetto saldi reali è, nella concezione di Patinkin, l’effetto potenziale che sulla domanda aggregata potrebbe essere esercitato dall’accrescimento delle disponibilità monetarie reali detenute dagli individui a seguito di una caduta del livello dei prezzi, a partire da una situazione di pieno impiego. Maggiori disponibilità monetarie reali, afferma Patinkin, potrebbero generare un aumento della domanda aggregata e un conseguente aumento della produzione e dell’occupazione, sino a che l’equilibrio di pieno impiego non sia ristabilito.




...Il contributo di Patinkin tende a riaffermare la neutralità della moneta, cioè l’assenza di effetti reali a seguito di modificazioni delle variabili monetarie. In secondo luogo, l’utilità della politica fiscale sembrerebbe venire meno: con le ipotesi di Patinkin e la capacità dell’effetto saldi reali di far fronte a due dei tre casi speciali identificati dalla sintesi neoclassica, la necessità di politiche fiscali espansive sarebbe limitata ai casi di rigidità dei salari, cioè alla rimozione di una delle ipotesi sulle quali si regge lo schema di Patinkin.




Tuttavia, lo stesso Patinkin afferma che l’effetto saldi reali potrebbe essere in realtà troppo debole per garantire il raggiungimento di una situazione di pieno impiego; ne consegue che le politiche keynesiane potrebbero mantenere un ruolo importante nella misura in cui possano accelerare il naturale manifestarsi dell’effetto saldi reali o supplire al loro mancato verificarsi." Pertanto, a ben vedere, Aso e Abe sono alquanto "neo-classici" laddove parrebbero proprio ritenere che ci si trovi di fronte a un caso di "rigidità dei salari" giapponesi (o anche di investimenti privati rigidi di fronte all'abbassamento del tasso di interesse) e torni l'esigenza di seguire, nell'unico caso "lecito", politiche di stimolo fiscale.



4- Aso e il "canone inverso" di Friedman.


Ma se accoppiano il "quantitative easing" e l'idea inflazionistica dell'offerta di moneta, si rivelano pure creativi e capaci di usare strumenti che, invece, fanno capo ad un'altra scuola...anti-keynesiana, quella monetarista:




"A partire dalla fine degli anni sessanta, la teoria monetarista si contrappone alla visione keynesiana del funzionamento del sistema economico corrente; a questo riguardo, si possono individuare due momenti fondamentali della critica monetarista alla impostazione keynesiana. In una prima fase, la critica si fonda su una revisione della teoria quantitativa della moneta e modifica alcune convinzioni che avevano guidato le politiche di tipo keynesiano. In particolare: a) si ristabilisce la fiducia nell’operare dell’economia di mercato; b) si assegna una più elevata priorità all’obiettivo della stabilità dei prezzi; e c) si attribuisce all’intervento pubblico e alle autorità monetarie la responsabilità del processo inflazionistico. In una seconda fase, la critica si estende alla interpretazione della curva di Phillips e se ne propone una nuova formulazione, in contrapposizione a quella keynesiana, rivolta a spiegare il fenomeno inflazionistico postulando l’inefficacia dell’azione di politica fiscale.




...L’aspetto fondamentale della prima critica monetarista risiede nell’idea che gli elevati livelli di inflazione sperimentati nel sistema economico siano il frutto di una espansione eccessiva dell’offerta di moneta. Friedman si richiama esplicitamente alla teoria quantitativa e ne propone una riformulazione, sulla base delle seguenti osservazioni. In primo luogo, gli operatori prendono le loro decisioni sulla base delle variabili reali del sistema, che riflettono il loro potere di acquisto. Inoltre, la domanda di moneta si mantiene stabile nel tempo: esiste cioè evidenza empirica di una relazione funzionale stabile tra questa e i fattori che la determinano. In base a queste nuove ipotesi, Friedman dimostra che il tasso di variazione dei prezzi (cioè il tasso di inflazione) è pari alla differenza tra il tasso di crescita dell’offerta di moneta e il tasso di crescita della domanda di moneta per fini transattivi.




Nel lungo periodo, se il tasso di crescita dell’offerta di moneta supera il tasso naturale di crescita dell’economia, il risultato è l’inflazione. Quindi l’inflazione non è solo un fenomeno monetario, ma può prodursi in conseguenza del comportamento delle autorità monetarie. Alla base dello schema monetarista c’è l’idea che l’economia si trovi in uno stato naturale di lungo periodo in cui non esistono squilibri nei singoli mercati e tutte le variabili reali si trovano al loro livello naturale.


Da questa concezione si sviluppa il concetto di tasso naturale di disoccupazione, che, sotto un profilo empirico, è il livello di disoccupazione che prevale quando l’economia è al suo livello di pieno impiego (il che ci consentirebbe anche di capire cosa diavolo ci faccia il "pieno impiego" nell'art.3, par.3 TUE, e in tante altre norme dei trattati europei: cioè "nulla" poichè la politica monetaria in sè garantirà l'equilibrio e quindi la disoccupazione "naturale", ad alterare la quale si fa "peccato" ndr.). Secondo Friedman, se l’economia si dovesse allontanare da questa situazione di pieno impiego, il sistema, nel lungo periodo, tenderebbe naturalmente al riequilibrio.


La direzione dell’attacco monetarista contro la politica fiscale attiva dei keynesiani cambia alla fine degli anni ‘60, rivolgendosi esplicitamente a minare le basi della curva di Phillips attraverso l’introduzione, in quello schema, del livello atteso di inflazione come variabile addizionale nella determinazione del tasso di variazione del salario monetario. La spiegazione keynesiana della possibilità di tassi di disoccupazione non decrescenti al crescere delle pressioni inflazionistiche (ad esempio, inflazione da costi) viene rifiutata dall’approccio monetarista che postula invece l’inefficacia e l’indesiderabilità di politiche di intervento pubblico.




Infatti, nel saggio The role of monetary policy del 1968, Friedman negava l’esistenza nel lungo periodo di un trade-off tra disoccupazione e inflazione nella attuazione della politica economica. Da questa impostazione è possibile derivare quattro conseguenze fondamentali per la politica di stabilizzazione:


1) le autorità possono ridurre la disoccupazione al di sotto del tasso naturale solo nel breve periodo e solo perchè il livello di inflazione non è ancora anticipato in modo corretto. L’ipotesi di aspettative adattive implica aggiustamenti graduali e non immediati delle aspettative e la politica fiscale può ancora essere efficace nel breve periodo;


2) qualsiasi tentativo di tenere il livello della disoccupazione al di sotto del suo tasso naturale produce solo una accelerazione della inflazione;


3) se si intende ridurre il tasso naturale di disoccupazione e quindi aumentare il livello dell’output è necessario perseguire politiche dal lato dell’offerta per migliorare la struttura e il funzionamento del mercato del lavoro piuttosto che politiche dal lato della domanda (questo ci ricorda "tanta europa" ndr.);


4) il tasso naturale è compatibile con qualsiasi tasso di inflazione che a sua volta è determinato dal tasso di espansione monetario come postulato dalla teoria quantitativa. Data la convinzione che l’inflazione è essenzialmente un fenomeno monetario dovuto ad un eccesso di crescita monetaria, i monetaristi affermano che l’inflazione può essere ridotta solo riducendo il tasso di crescita della offerta di moneta."




5- Aso smentisce Lucas e Barro


Insomma, assumendo "all'inverso" la teoria monetarista, post litteram, nelle sue conseguenze sulla politica fiscale, Abe e Aso la "adattano creativamente", appunto, per uscire dagli eccessi della deflazione prolungata. E' da notare, poi, che, nel far ciò, finiscono per contraddire, senza troppe preoccupazioni, (a quanto pare), quella che, in Europa, risulta invece (nella notte di vacche sempre più nere) una delle teorie più solide, se non altro perchè è in larga parte riflessa nei trattati UE-UEM. Cioè la "nuova macroeconomia classica" di Lucas e Barro (per dire solo di due, a noi già noti, tra i suoi indimenticabili fautori):




"Durante gli anni settanta e ottanta la critica alle tesi keynesiane deriva principalmente dalla Nuova Macroeconomia Classica (NMC), con l’obiettivo di dimostrare il naufragio della sintesi neoclassica sia sotto il profilo teorico, sia dal punto di vista delle conseguenze in termini di politica economica. La base di riferimento è ancora quella del monetarismo di Friedman, ma i contributi di R. Lucas e di altri autori rivolti a mettere in discussione anche la curva di Phillips aumentata per le aspettative, tendono a negare qualsiasi ruolo per le politiche fiscali e monetarie. Per poter attaccare così profondamente le tesi keynesiane, la NMC ha però bisogno di ripristinare alcune assunzioni proprie della teoria classica e di modificarne alcune già presenti nel monetarismo di Friedman. In particolare:


a) tutti i prezzi, compresi i salari, sono perfettamente flessibili sia verso il basso sia verso l’alto e il modello è di tipo walrasiano (Hartz e...i greci la sanno lunga su questo, ndr.);


b) l’ipotesi di aspettative adattive considerata da Friedman viene rimpiazzata da quella di “aspettative razionali”...




La conseguenza fondamentale del ragionamento di Lucas è quindi che politiche pubbliche anticipate non possono influenzare la produzione reale e l’occupazione, ma solo le variabili nominali. Osservata da un altro punto di vista, la conseguenza è che solo politiche imprevedibili o shock inattesi possono determinare variazioni delle variabili reali e portare temporaneamente il sistema in squilibrio, con la produzione e l’occupazione al di sopra dei loro valori naturali. Dovrebbe però essere chiaro che ciò esclude qualsiasi ruolo per le politiche di intervento pubblico a fini di stabilizzazione.




Se infatti il governo agisce in modo casuale e imprevisto il risultato sarebbe solo un aumento della instabilità e della variabilità del prodotto e dell’occupazione attorno al suo livello naturale. Non esiste nessun trade-off tra produzione e inflazione e nessun ruolo per le politiche di intervento pubblico....




L’impianto teorico dei nuovi classici ha prodotto, quindi, conseguenze non trascurabili sulla efficacia degli strumenti di politica economica. In primo luogo, come osservato in precedenza, la NMC implica l’inefficacia di politiche fiscali e monetarie sistematiche e anticipate (e l'aderenza a questa teoria spiegherebbe il ritardo di Trichet nell'abbassare i tassi all'indomani della crisi dei "derivati", per quanto ciò poi si potesse rivelare determinante, se non altro per ritardare gli effetti dell'asimmetria dell'euro e dare un pò di fiato alle economie reali ndr.).




In secondo luogo, e in conseguenza della proposizione di inefficacia, l’operatore pubblico, e soprattutto le autorità monetarie, devono preoccuparsi di controllare il tasso di inflazione e applicare una politica stabile che segua il tasso di crescita naturale dell’economia.(Ma quanto vi rammenta Maastricht? :-) ndr.)




In terzo luogo, in contrasto sia con i keynesiani sia con i monetaristi, i nuovi classici affermano che nel caso di una politica monetaria restrittiva credibile, gli agenti economici rivedranno immediatamente le loro aspettative sui prezzi verso il basso e una politica deflattiva potrà essere rapida e senza conseguenze rilevanti in termini di disoccupazione e di reddito (insomma, ossessionati dalla "curva di Philips" la confutano perchè sanno che...è corretta: inflazione significa potere contrattuale sul lato salariale e quindi l'unica preoccupazione monomaniacale è combatterla, facendo delle politiche deflattive l'unica ipotesi considerata, ndr).




In quarto luogo, per rafforzare la credibilità della politica monetaria è necessario evitare la possibilità di discrezionalità nella sua attuazione. A questo scopo si auspica l’assegnazione della competenza sulla politica deflazionistica (visto? la politica monetaria coincide tout court con la politica deflazionistica, ndr.) ad una autorità indipendente come la banca centrale.




Infine, l’unica politica perseguibile per aumentare il reddito e ridurre la disoccupazione in modo permanente è quella dal lato degli incentivi di tipo microeconomico per le imprese e per i lavoratori, che producano miglioramenti strutturali dal lato dell’offerta e non dal lato della domanda (ma allora Giavazzi, trova "nipotino di Stalin" pure Lucas! ndr.). Questa affermazione fornirà la base per lo sviluppo, negli anni Ottanta, delle tesi della supply side economics, rivolte a sostenere la necessità di intervenire non con politiche di sostegno della domanda aggregata, ma direttamente sulle determinanti del tasso naturale di crescita dell’economia"




Al di là della complicatezza della immediata ascrizione all'uno all'altro filone teorico, resta, per (magra) consolazione di noi italiani in preda alle deliranti applicazioni dei "nuovi classici", il divertimento di uno spettacolo di questo tipo: non solo, in contrasto coi "primi" neoclassici si pratica il deficit, ampliandolo, ma, screditando l'ortodossia dei "nuovi macroeconomisti classici", cioè UE-Bundesbank (quella che i giornali italiani hanno paura di criticare persino nel pensiero), si arriva a:


1) a far derivare dalla crescita dell'inflazione (per quanto moderata) un effetto espansivo del PIL (e non solo certo dal "dogma" della stabilità dei prezzi, che non viene assunto più come una assoluta garanzia di "equilibrio" in base alle aspettative razionali...!);


2) far smettere le "autorità monetarie" di preoccuparsi "solo" di controllare il tasso di inflazione, addirittura ponendogli un obiettivo di "reflazione";


3) abbandonare la politica monetaria restrittiva "credibile", a favore della crescita dei redditi e dei salari (chissà cosa ne penserebbe...Andreatta con la sua condanna della "ideologia della crescita a ogni costo");


4) last but not least, e anzi, assolutamente "godurioso", riappropriano al governo, democraticamente eletto, la "discrezionalità" della politica monetaria (quale che sia poi la sua reale efficacia), negando, persino con le "cattive", il mito della indipendenza della Banca centrale (e della sua stessa presunta mancanza di discrezionalità, ancorata al mero obiettivo della stabilità dei prezzi).


6- La dialettica della Storia e la (timida) rivincita della democrazia rappresentativa.


Ora nun vorrei dì, ma i tempi stanno cambiando. Certo, questa logica "ibrida" e compromissoria (tra keynes e la sua accettazione parziale dalla teoria neo-classica "originaria"), pare accomunare pure Obama (stesso mix "indeciso" tra stimolo della spesa pubblica, con preoccupazione della copertura impositiva, e espansione monetaria), e certamente è presto per sperare nella rivincita keynesiana.




Ma, a ben vedere, quali che siano gli enunciati teorici sottostanti, alla fine, agiscono, nei fatti, "quasi" come avrebbe agito un keynesiano (dovutamente "ondivago", come nella realtà accadde) negli anni '50 o '60 del secolo scorso (tranne che ancora resta "indecifrata" la revisione del mito delle banche centrali "indipendenti"). Rimane la questione del debito al 236% del PIL: vuoi vedere che anche lì, Abe e Aso, si sono convinti delle condizioni "attendibili" della sua sostenibilità (e certo! Se no chi glielo toglieva ai giapponesi un bel pareggio di bilancio)?

Infine un'osservazione finale: ipotesi che nascono "a priori", con un'idea dell'equilibrio economico che "doveva" dimostrare essenzialmente la infondatezza delle teorie keynesiane, e che quindi si preoccupano solo di combattere l'inflazione (e, in connessione, di combattere la forza contrattuale del lavoro), hanno, per almeno 30 anni, monopolizzato le politiche dei governi e ridisegnato la democrazia (rendendone il concetto ancora più elusivo). Solo che, essendo squilibrate negli stessi "razionali", hanno funzionato "troppo bene" e prodotto problemi di crescita che si sono ritorti contro gli stessi "ideologi". Proprio perchè non sono "razionali", ma solo...deduttivistiche. Ora è cominciato un nuovo lavoro: riparare i danni al benessere e alla democrazia che hanno provocato. Solo in UE non se ne sono accorti..."




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